OPERE

[…] Quella di Rolando Monti è una vicenda artistica complessa e ancora poco nota, segnata da un profondo radicamento di Monti al clima culturale dell’epoca eppure svolta in totale e coerente autonomia. La pittura di Rolando Monti, infatti, pur vicina alla congerie artistica del suo tempo, ha saputo distinguersi sempre per la sua particolare propensione al dato cromatico, tradotto sempre in una equilibrata composizione spaziale. Come nel ritratto a Ezra Pound, del 1932, nel quale Monti riesce a cogliere del controverso poeta suo amico, l’intensa personalità isolando il volto ben costruito (che ritrarrà poi negli anni Settanta in una serie di disegni a china) grazie allo stacco cromatico creato dal cappello e dalla giacca. Un esempio, per comprendere proprio la particolarità della ricerca di Monti, una ricerca che solo ad uno sguardo superficiale, imprigionato nelle categorie della figuratività e dell’astrazione, può sembrare quasi schizofrenica, ma che a una lettura più approfondita dichiara la costanza delle sue direttrici. Una riflessione che trova il suo nucleo fondante non tanto nelle prime esperienze accademiche, quando Monti era allievo di Felice Carena a Firenze, che mostrano comunque una certa solidità nell’impianto disegnativo, quanto nell’esperienza condotta in seno al gruppo del cosiddetto Tonalismo romano, a torto giudicato come una corrente minoritaria della più ben nota Scuola Romana. Del Tonalismo, elaborato con Emanuele Cavalli e Giuseppe Capogrossi, Monti seppe dare una propria peculiare inflessione.
Le opere di questo periodo sono infatti incentrate sulla potenza costruttiva del colore e sui rapporti tonali che sostengono la composizione, come è ben evidente in dipinti quali Tappeto del 1938 (oggi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna) o La chiromante del 1942 o l’Autoritrattodel 1944, tutte esplicitamente memori della lezione di Matisse e dei Fauve. Nella pittura di Monti infatti il colore è il perno entro il quale si invera l’oggetto, materia viva della quale scoprire ogni afflato timbrico per costruire con esso la composizione. E ciò appare chiaro anche nelle esperienze successive al periodo tonale, quando l’interesse di Monti si sposta verso Cézanne, aprendo la riflessione alla forma – colore, evidente nelle diverse nature morte della metà degli anni Quaranta e dell’inizio degli anni Cinquanta. Una nuova apertura, questa, che lo condurrà poi alla metà degli anni Cinquanta, ad abbracciare, seppur in una breve fase di passaggio, il picassismo postcubista caro all’epoca, dando però anche di questo una propria peculiare interpretazione. Nella serie dei bagnanti sulla riva di Rapallo, infatti, le forme si semplificano, si essenzializzano lasciando il campo ad un colore carico dato a campiture quasi piatte, nella cui essenziale preponderanza è chiaro un riverbero della contemporanea esperienza nell’ambito delle vetrate, intrapresa a partire dal 1954, anno di composizione di una delle opere maggiormente rappresentative di questa nuova fase di ricerca, Caffé Rapallo. Una fase breve eppure significativa nella quale è possibile riconoscere in nuce gli sviluppi futuri, quelli degli anni Sessanta quando, dopo una parentesi in ambito informale iniziata nel 1957, nella quale la forma si annulla e la composizione è interamente occupata da pure esplosioni di materia pittorica, Monti tornerà alla figura geometrica elementare e alle campiture di colore piatto. A ben guardare, nel percorso di ricerca di Monti, proprio quello che sembra il punto di maggiore preponderanza del colore, il momento informale, appunto, appare quasi una parentesi se si mettono in confronto le esperienze postcubiste con quelle astratto–geometriche iniziate nel 1964, anno delle prime Composizioni, nelle quali tutta la scena pittorica è basata sulla relazione forma/colore e sulle dissonanze cromatiche che pur nella bidimensionalità della tela modulano e costruiscono lo spazio, come in Tensioni del 1967. Questa diversa concezione dello spazio pittorico in relazione al colore sarà poi al centro della sperimentazione di Monti a partire quagli anni Settanta quando aprirà lo spazio bidimensionale alla terza dimensione, non simulata ma reale, mediante la sovrapposizione di due differenti tele di diversa tessitura, delle quali sfrutta le trasparenze per articolare mediante la sovrapposizione delle due pellicole pittoriche, uno spazio complesso, come nell’opera Omaggio a Pound del 1972, anche in questo caso fondata sulla valenza del colore.

Giulia Grosso